sabato 25 marzo 2023

Il sole sacrifica i suoi raggi per amore



Surya sul suo carro trainato da sette cavalli

Surya, il dio sole, che consuma se stesso nel sacrificio cosmico dell'universo, era un giovane molto bello e  forte. Percorreva le sfere celeste sopra il suo carro di fuoco trainato da sette cavalli e guidato da Aruna, l'uomo-uccello fratello di Garuda il veicolo del dio Vishnu.  Un giorno vide una bellissima ragazza e se ne innamorò. Era Samjna, figlia di Visvakarman, l'architetto degli dei. I due si sposarono.
Ma lo splendore e il calore di Surya, o forse la forza del suo amore, erano intollerabili per Samjna che non poteva neppure avvicinarsi all’amato sposo.
Una notte allora, quando Surya non c’era, fuggì nella foresta e si fece sostituire da Chaya (in sanscrito ‘ombra’) in tutto e per tutto uguale a lei, ma capace di sostenere la luce di Surya.
Surya non si accorse della sostituzione e visse con Chaya finchè un giorno, quando lei brontolò duramente uno dei figli di Samjna, il dio sole scoprì la verità.
Surya andò subito in cerca della moglie e la trovò nella foresta trasformatasi, per non essere scoperta, in una cavalla. Surya si trasformò a sua volta in uno stallone e si unì a lei svelando poi la sua vera identità.
I due tornarono nella sfera celeste, ma il problema del calore e della luce di Surya non era stato risolto.
Visvakarman, l’architetto degli dei e padre di Samjna, propose allora di ridurre i raggi di Surya che accettò. Visvakarman tagliò parte dei raggi solari in modo che Surya e Samina potessero vivere vicini.
Con i raggi tagliati vennero realizzate alcune tra le più potenti armi mai viste nell’universo, il trishula (tridente) di Shiva, il chakra (disco) di Vishnu, la lancia di Karttikeya, il tempio del sole di Konarak.

sabato 19 marzo 2022

Kirtimukha: il mostro che mangiò se stesso

Kirtimukha
 Ricordate Rahu, il demone decapitato da Vishnu durante il ‘frullamentodell’oceano'? Ebbene, un giorno venne usato da Jalandhara, demone tiranno dalle origini molto complesso di cui un giorno dirò, come proprio messaggero.

Jalandhara era padrone dei tre mondi e, grazie alle austerità che aveva condotto, aveva poteri immensi, ma qualcuno gli fece presente che non aveva proprio tutto. Gli mancava Parvati, la donna più bella del mondo che era andata in sposa a Shiva.

“Cosa se ne fa Shiva, asceta pezzente, di una donna così bella?” si domandò Jalandhara. “La voglio!”
Detto questo, chiamò Rahu e lo mandò da Shiva come suo ambasciatore.
“Va’ da Shiva e digli di darmi Parvati, se rifiuta, sarà la guerra.”
Da buon messaggero, Rahu si presentò da Shiva e, in nome di Jalandhara, chiese Parvati.
Ascoltata la richiesta, Shiva divenne furibondo e dal suo terzo occhio nacque una creatura terribile con la criniera di leone, gli occhi di fuoco, il corpo esile ed emaciata. Un mostro violento e fortissimo, che aveva in sè tutto l'ira del dio assoluto, un mostro affamatissimo che si avventò immediatamente su Rahu.
Il malcapitato si rivolse a Shiva e lo pregò di essere risparmiato, in fin dei conti lui non era che un messaggero senza colpa.
Shiva intervenne e ordinò al demone di non mangiare Rahu.
“Ed allora chi mangio? - replicò il mostro - Tu mi hai creato con questa fame insaziabile, come la posso almeno lenire?”
“Mangia te stesso,” disse Shiva.
E così il mostro mangiò le proprie gambe, le proprie braccia, il proprio corpo e rimase soltanto una testa furiosa.
“D’ora innanzi – gli disse Shiva compiaciuto – tu sarai Kirtimukha, il volto glorioso. Ti voglio sempre davanti alla mia porta e chi entrerà nella mia casa senza aver prima venerato te, non otterrà niente di ciò che chiede.”
Per questo motivo sui portali dei templi hindu, su quelli dei palazzi e delle case spesso c’è un volto mostruoso, è il volto della gloria, il Kirtimukha.


venerdì 14 maggio 2021

La pace mentale

"La pace della mente si ottiene coltivando la simpatia delle persone felici, 
la compassione per le persone infelici, 
il piacere nella virtù e
l'indifferenza verso i malvagi."
                                                                         Patanjali

venerdì 26 febbraio 2021

Nimi, il re che sta sopra le nostre palpebre


Perchè gli esseri viventi battono le palpebre? Anche su questo c'è una bella leggenda indiana.


Un giorno il saggio re Nimi voleva eseguire un yajna, un sacrificio particolarmente difficile e lungo (sarebbe durato ben cinque anni!) che, se avesse avuto successo, avrebbe giovato enormemente al suo popolo.
Per celebrare il sacrificio, Nimi aveva bisogno di un brahmano eccezionalmente potente che lo presiedesse e si rivolse al rishi Vasishta.  
                                                     
Rito hindu
Il rishi però non potè accettare perchè impegnato in un altro sacrificio.
Nimi, che teneva molto al benessere del suo popolo, iniziò ugualmente il sacrificio incaricando di presiederlo ad un altro saggio, Gautama.
Quando Vasishta, terminato il suo precedente impegno, si recò da Nimi e vide che il sacrificio era stato iniziato senza di lui, si infuriò e lanciò una maledizione contro Nimi: "Ti maledico, re Nimi: d'ora in avanti vivrai senza corpo."
In quel momento il re Nimi stava dormento, si svegliò di soprassalto, guardò in basso e vide il proprio corpo senza vita ed i suoi sudditi che piangevano la sua dipartita.
Convinto di aver agito correttamente, Nimi maledì a sua volta Vasishta,  "Ho dovuto eseguire lo yajna per il benessere della mia gente. Saggio Vasishta, ti maledico: anche tu vivrai senza corpo!"
In quel suo nuovo stato, Nimi vagava sotto forma di spirito, non era più vincolato dal corpo o dalle responsabilità e trovava la vera gioia di essere uno con il brahman.
Tuttavia i sudditi del re erano molto infelici, non potevano credere che il re che si era preso cura di loro come un padre non ci fosse più. Per questo conservarono il corpo del sovrano con olii e profumi e continuarono con maggior devozione il sacrificio che aveva iniziato l'amato Nimi.
Una volta che lo yajna fu completato, gli Dèi scesero sulla terra chiedendo ai fedeli cosa volessero. "Per un'ingiusta maledizione - risposero - lo spirito del nostro amato re è uscito da questo suo corpo, rivogliamo Nimi tra noi."
Gli dèi acconsentirono e convocarono lo spirito di Nimi, ma restarono meravigliati quando l'anima del re li pregò di non fare niente e di lasciarla libera dal corpo. "Non desidero più avere schiavitù - disse - vi prego, non rimettetemi nel mio corpo."
"Ma la tua gente desidera che tu stia tra loro - replicarono gli dèi - non puoi deluderli."
"Se queste persone vogliono che io stia con loro - disse Nimi - lo farò, ma non nel modo in cui desiderano, trovate voi un modo."
Gli dèi allora posero Nimi sulle palpebre di ogni essere vivente.
Per questo, da quel momento, ogni essere è costretto a battere le palpebre, perchè sopra di esse c'è lo spirito di Nimi che pesa e che quindi rende ogni tanto necessaria una seppur breve pausa.
E' per questo che in sanscrito il battito delle palpebre si chiama nimisha (che è anche un nome proprio femminile abbastanza diffuso).
E sempre per questo, ma ne abbiamo già parlato, uno degli elementi che differenziano gli uomini dalle divinità indiane è che quest'ultime non battono le palpebre, ma hanno lo sguardo fisso, così come non sudano, non fanno ombra e non poggiano i piedi per terra.







giovedì 30 gennaio 2020

Anniversario della morte di Gandhi

Il 30 gennaio 1948 venne ucciso il Mahatma Gandhi. Per saperne un po' di più sull'omicidio e sull'assassino potete cliccare qui e qui.
Oggi lo voglio ricordare con una sua breve considerazione sulla carta stampata che può essere utile anche oggi.

"I giornali hanno un'influenza potente. E' compito dei direttori badare a che nei loro giornali non venga pubblicato niente di falso che possa eccitare il pubblico.
I direttori dovrebbero prestare la massima attenzione alle notizie che intendono dare e al modo di darle.
Dove esiste l'indipendenza, è praticamente impossibile per i governi controllare la stampa. E' compito dei lettori tenere strettamente d'occhio i giornali e mantenerli sul retto sentiero. 
Un pubblico illuminato rifiuterà di appoggiare giornali sediziosi o indecenti."

Harijan 19 ottobre 1947            Mohandas Karamchenad Gandhi








domenica 10 novembre 2019

Il verdetto di Ayodhya

Vi ricordate di Ayodhya, mitica città natale del dio Rama, e della Babri Masjid, la Moschea Babri costruita da Babur, il primo imperatore moghul, nel 1528 e distrutta il 6 dicembre 1992 da una folla di estremisti hindu che rivendicavano il luogo in quanto proprio lì sarebbe nato il protagonista del Ramayana?
Ayodhya in India (da Google Map)
Beh, se volete rinfrescarvi la memoria potete cliccare qui.
La Corte Suprema dell'India ha messo la parola fine alla vicenda con una lunghissima decisione che ribalta la precedente sentenza dell'Alta Corte di Allahabad che nel 2010 decise che l’area doveva essere suddivise in tre parti: una destinata al tempio hindu che già vi sorge e le altre due destinate rispettivamente alla comunità hindu e a quella islamica.
La Suprema magistratura dell'India ha invece stabilito - all'unanimità dei suoi cinque componenti - che il sito va interamente assegnato agli hindu, riconoscendo ai musulmani un'altra area nella stessa città.
I giudici hanno sì dichiarato che la demolizione della Babri Masjid è stata "una grave violazione dello stato di diritto" e "un atto calcolato di distruzione di un luogo di culto pubblico", ma i musulmani non avrebbero provato il possesso incontestato del sito mentre dalle prove processuali emergerebbe un continuativo culto induista svolto nel luogo.
Non ci sono prove certe, ma applicando il principio della "preponderanza delle probabilità" come standard di prova, la Corte ha considerato la rivendicazione della parte hindu più plausibile di quella musulmana.
La decisione rappresenta una vittoria per gli estremisti hindu che da sempre rivendicano il loro diritto di considerare quel sito proprio della religione induista.
Esponenti della comunità islamica, pur non approvando la decisione che è considerata "una vittoria della fede sui fatti", hanno dichiarato che il verdetto verrà accettato.
I supremi giudici hanno dichiarato che la precedente decisione della Corte di Allahabad era "illogica" e non avrebbe garantito "un senso duraturo di pace e tranquillità". Speriamo che ci riesca questa decisione del supremo organo giurisdizionale indiano.



Per saperne di più: The Indian Express, The Times of India, The Hindu

domenica 13 ottobre 2019

Shantanu, Ganga e la morte dei loro sette figli

Shantanu, re di Hastinapura, stava cacciando nella foresta. Rincorrendo una preda, si ritrovò sulle rive del Gange e si accorse subito di non essere solo. Davanti a lui era infatti apparsa una ragazza misteriosa, bellissima, dalla pelle vellutata, gli occhi nerisissimi, i capelli sciolti sulle spalle. Shantanu se ne innamorò all’istante e, senza saper niente di lei, chiese la sua mano.
La fanciulla accettò l’offerta del potente re, ma ad una condizione: “Non mi farai mai domande né mi ostacolerai, né contesterai o criticherai qualsivoglia mio comportamento.”
Il Gange a Varanasi

Al re la condizione sembrò leggerissima, accettò e sposò la donna con una maestosa cerimonia ad Hastinapura.
La vita della coppia scorreva felice e questa felicità accrebbe quando il re seppe che la regina, che in ricordo al luogo in cui gli amanti si erano incontrati venne chiamata Ganga, attendeva un bambino. Ma la felicità durò poco perché la madre, non appena partorito l’erede al trono lo portò sulle rive del Gange e ve lo gettò. Il re rimase sconvolto, ma non disse niente alla moglie memore della condizione che aveva accettato e il cui peso cominciava a comprendere solo ora.
La regina rimase incinta altre sei volte e per altre sei volte condusse il proprio neonato sulle rive del Gange e ve lo gettò senza che il re facesse o chiedesse niente.
Ma quando la regina restò incinta per l’ottava volta e partorì un bel bambino, il re si recò sulle rive del Gange prima della moglie e quando giunse la regina col neonato la fermò. “Perché uccidi i tuoi figli – le disse -  perché ti comporti in modo così terribile?”
La regina sorrise, “hai rotto il tuo giuramento, vuol dire che hai proprio bisogno di questo figlio, ecco tuo figlio, è salvo, ma mi perderai, così le maledizioni si sono adempiute.”
Il re chiese spiegazioni e la regina gliele fornì. Lei era davvero la dea Ganga, ma in una precedente vita quando ancora mortali e dei vivevano insieme, Shantanu, che allora aveva il corpo del re Mahabhishek, alla corte di Indra si innamorò di Ganga. Un mortale, seppur re, non poteva unirsi ad una dea e pertanto gli dei maledirono i due amanti imponendo a entrambi di rinascere come mortali. In quella loro nuova forma si sarebbero potuti amare. E così era avvenuto.
La seconda più terribile maledizione riguardava i figli di Ganga, tutti, tranne uno, uccisi appena erano nati.
In realtà gli otto figli di Shantanu e di Ganga non erano altro che le reincarnazioni degli otto fratelli Vasu  i quali in una precedente vita per compiacere le loro mogli avevano rubato la vacca Nandini (chiamata anche Kamadhuk o Kamadhenu e citata da Krishna nella Bagavadgita 10.28) che apparteneva al saggio Vasishta. Quando il saggio tornò al sua ashram e capì cosa era accaduto, maldisse gli otto Vasu condannandoli a rinascere come mortali. I fratelli si recarono subito dal saggio a riportare Nandini e a chiedere perdono, ma una maledizione una volta che è stata lanciata non può essere revocata.  Vasishta però mitigò la maledizione acconsentendo che per sette fratelli la pena fosse breve, durasse cioè il tempo di una gravidanza e, una volta nati, avrebbero subito potuto riacquistare la libertà. Per l’ottavo fratello invece, colui che materialmente aveva rubato la vacca, la pena sarebbe durata per un’intera vita.
Per questo motivo  Ganga aveva ucciso i primi sette figli, per liberarli dalla maledizione, mentre l’ottavo restò vivo e visse una vita gloriosa. Venne chiamato Devavrata, che in sanscrito significa "Devoto agli dei", ma più tardi assunse il nome di Bhishma, il più saggio ed eroico personaggio del Mahabharata.